Non so se capita anche a te. A volte leggo due parole, due storie, vedo due sguardi e sento che si parlano, non perché si assomiglino, al contrario. Perché si rispondono. Come quando si attivano i fili invisibili che ci collegano l’uno all’altro. O, più spesso, l’una all’altra.
Queste di cui sto per parlarti oggi sono due voci che vengono da mondi lontani e che però, una sull’altra, si accendono. Come quando metti insieme il blu e l’arancio. Si esaltano a vicenda senza dare vita a un colore nuovo, una volta mescolati. Oppure quando metti insieme il silenzio e il rumore, uno nasce da dentro, l’altro arriva da fuori ma l’uno non può esistere senza l’altro.
Due voci, una viene da Brooklyn, l’altra da Milano. Due voci di due donne,
una parla come si parla oggi in America, con la velocità addosso e un po’ di cinismo per difendersi. L’altra usa parole che hanno radici più antiche, forse più dolenti.
Ma tutte e due, a modo loro, fanno la stessa domanda:
Che ne abbiamo fatto dell’amore?
Non dell’amore romantico, ma di quello che muove la vita, che dà senso, che chiede presenza, coraggio, fedeltà. Quell’amore che non ha a che fare con l’innamoramento, né con le dichiarazioni, né con i ruoli. Quell’amore che si misura nel tempo, nei gesti non visti, nella fatica di restare anche quando tutto spingerebbe ad andarsene.
Quell’amore che non è “sentimento”, ma energia viva, che ti cambia la postura, il tono della voce, lo sguardo. Un amore che oggi sembra fuori moda, forse perché non si può comprare al mercato, né esibire sui social.
Un amore che ti chiede di esserci, di guardare in faccia l’altro anche quando è difficile. Anche quando fa paura. E che ti cambia, ti trasforma. Sempre.
Ho trovato dentro di me le voci di due donne che parlano di questo. Parlano dell’amore mentre credono di parlare della morte, quella che vedono e che sembra non appartenere ancora a loro.
Una con sarcasmo e ironia, come chi ha imparato a riderci su per non crollare.
L’altra con tenerezza ruvida, un po’ essenziale come chi ha attraversato il fuoco e non ha più voglia di finzioni.
Sono due voci femminili. Anche loro parlano di barattoli, come le donne che ho ascoltato dentro di me mentre parlavano di guerra. Quelle erano donne che, però, nella guerra ci vivono. Queste no, ancora no. E forse, in fondo, sono anche due parti di me. Di noi.
Lettera 1 – Sarah, Brooklyn, NY – giugno 2025
Questa mattina ho urlato contro il frigorifero. Aveva smesso di fare il ghiaccio e io avevo bisogno disperato dei miei cubetti per il solito smoothie alle 7:45. Miele, carote, zenzero, 120 gr di cubetti di ghiaccio e proteine in polvere, quelle di canapa, Hemp Protein. E per un attimo ho pensato: Giornata di merda.
Sono andata a correre a Prospect Park ma ho fatto un giro breve, una doccia veloce e la Subway. Ho scrollato un po’ il telefono e ho letto la notizia:
un altro attacco. Questa volta l’abbiamo fatto noi. L’America ha bombardato l’Iran.
“Risposta proporzionata”, dicono.
C’è un video di una madre che stringe un bambino avvolto in una coperta. Solo che non è un bambino. È… una cosa che era un bambino. E io l’ho guardato con le cuffie nelle orecchie, mentre Taylor Swift cantava I remember it all too well.
Quando sono tornata a casa, mi sono messa a tagliare le verdure per la Buddha Bowl del pranzo, e mi è venuta una nausea che non era per l’avocado troppo maturo.
Mi sono seduta. Ho pianto. Poi ho pulito tutto con la spugna disinfettante.
E’ entrata mia figlia girandomi davanti come se fosse su una passerella.
Quel top glitterato che avevo già nascosto due volte.
“Lo metto per la festa di Zoe. È carino, no?”
Avevo ancora il telefono in mano, aperto sull’ultima notifica del Pentagono.
Mi si è incastrato qualcosa in gola.
Per un attimo ho avuto voglia di urlarle che no, non poteva uscire mezza nuda mentre il mondo bruciava. Poi ho guardato la sua faccia, la sua età. E ho detto solo: “Portati la felpa, che magari fa fresco.”
Non so se ho fatto bene.
A volte essere madre è lasciare che indossino il top, mentre tu ti metti l’elmetto invisibile. E fai finta che vada tutto bene. Anche quando hai il cuore sotto embargo.
Poi ho preso un barattolo, uno di quelli che avevo comprato su Amazon per la dispensa a vista, e ci ho infilato un foglietto. C’era scritto:
“Non sono innocente. Non sono fuori. Ma oggi mi sono svegliata. E non so più come tornare a dormire.”
L’ho messo vicino alla finestra. Così la luce lo attraversa.
Con amore e confusione,
Sarah
Lettera 2 – Milano, giugno 2025
Cara Sarah, non so chi sei.
So solo che stamattina ho letto le tue parole e mi si è gelato qualcosa dentro.
Qui a Milano fa caldo, ma non si respira. Non è l’aria, è l’atmosfera. C’è come una nebbia che non è più nebbia. È spaesamento.
Il mio frigorifero funziona. Anche il barattolo delle M&Ms. E anch’io, proprio come te, ho detto “Sì” a mia figlia senza capire il perché.
Ho la sensazione che qualcosa di enorme stia accadendo… e che io lo stia solo intuendo con la coda dell’occhio. L’America bombarda l’Iran. E poi chi ha bombardato il Qatar? E poi? Non so più, ho perso il conto.
Guardo le notizie, leggo, cerco, ma mi sento come una che ha sbagliato sala. Come se tutti recitassero uno spettacolo e io non capissi più la trama. O peggio: come se ci fosse un doppio spettacolo. Uno per noi, e uno che non si vede.
. Mi tengo aggiornata, come si dice. Ma dentro di me cresce una sensazione sorda, insistente, un brusio di fondo che non si riesce mai davvero a mettere a tacere. È come se avessi sbagliato sala, entrando per errore in uno spettacolo che non parla la mia lingua. Una parte del mondo sembra sapere cosa fare, cosa pensare, quale parte interpretare. Recita con convinzione, applaude nei tempi giusti, si indigna a comando. Io invece resto lì, tra le poltrone, spaesata, a chiedermi se sono io a non capire o se c'è qualcosa che non torna davvero.
Due trame sovrapposte: una visibile, chiara, confezionata per noi. E un'altra nascosta, parallela, intangibile ma reale. La prima ci viene mostrata ogni giorno – con i suoi titoli sensazionalistici, le certezze istantanee, gli slogan ripetuti fino allo sfinimento. L'altra, invece, si muove sotto traccia, fatta di ciò che non si dice, che non conviene vedere, delle domande che restano senza risposta. Lo spettacolo invisibile, quello che forse intuisci solo se ti fermi, se smetti per un attimo di guardare lo show e inizi ad ascoltare il silenzio dietro le quinte.
Oggi ho acceso la radio e parlavano del prossimo Festival di Sanremo, quello che come ogni anno sarà a febbraio. Ne parlavano oggi. Oggi, a giugno, mentre il mondo bombarda ed è bombardato.
Poi ho scrollato e ho visto bambini feriti. Poi ho guardato il cielo. Era grigio. Come fosse stanco anche lui.
E’ entrata mia figlia, un’esplosione di glitter e leggerezza, il suo top luccicava più del telegiornale.
“Vado alla festa da Viola. Ok, vero?”
Mi ha fatto un mezzo giro su se stessa, fiera come se sfilasse per Vogue
Avrei voluto dirle: “Lo sai cosa sta succedendo nel mondo?”
Ma non l’ho fatto. Non ho parlato di guerra. Non ho parlato di geopolitica.
Le ho solo detto: “Portati la felpa, che magari fa fresco.”
In quella frase c’era tutta la mia inquietudine. Ma anche la mia scelta, quella di lasciarle ancora un giorno di normalità. Un giorno di festa, in mezzo a un mondo che non fa più festa a nessuno.
Ho scritto anch’io un biglietto. Non l’ho messo in un barattolo, ma nel cassetto delle medicine, tra la valeriana e l’ibuprofene. C’è scritto:
“Io non voglio abituarmi a questo.” Chissà se basterà.
Ti tengo nel cuore,
Silvia
E io, che scrivo, ascolto.
Ascolto o forse solo immagino due donne che non si conoscono, ma che si riconoscono. Due vite che si toccano nell'invisibile, proprio dove qualcosa si spezza e qualcos’altro può cominciare. Abbiamo vissuto di copioni che ci spingono a ripetere le cose più e più e più volte— forse questo non capire cosa stia davvero succedendo nel mondo è un invito a smettere di giudicare questi copioni come buoni o cattivi, a imparare a dare uno sguardo alla prospettiva più ampia di questi drammi? Certo è che il mondo, come era stato intuito, si è diviso in due, ma non sto parlando solo delle divisioni politiche e di potere, mi riferisco al mondo nel quale si consuma la nostra quotidianità. C’è chi sta camminando fianco a fianco, là dove sente una vibrazione simile e chi cerca e trova altre vibrazioni. Possiamo chiamarle Famiglie d’Anime, là dove attingiamo la forza gli uni fagli altri e ci aiutiamo l’un l’altro a ricordare chi siamo. Allora diventa impossibile ritornare stabilmente nelle vibrazioni più basse, quelle di chi cerca potere, competizione, separazione.
Non so se sia troppo tardi per svegliarci. Non so se bastano le parole. Ma so che sentire è un atto sovversivo. Che scegliere di non abituarsi è già un gesto.
Che ogni barattolo, ogni biglietto, ogni minuscolo segno di umanità… è una luce nella crepa. E forse, in questo tempo di oscurità, non ci resta che essere crepe.
Perché è da lì che passa la luce.