Ci sono giorni in cui il cuore si fa più pesante, giorni in cui le notizie ci raggiungono come schegge e ci fanno male, anche se non parlano direttamente di noi. Perché parlano dell’amore. E di ciò che l’amore dovrebbe essere sempre: libertà, dignità, verità. Mi accompagna la voce di tre artiste che io amo molto e che ho scoperto nella mia maturità con la gioia di trovare in loro tre donne che sento a me molto vicine, forse siamo cresciute nella stessa energia, non so.
Tre artiste, tre voci che parlano della Donna
Grazia di Michele, con dolcezza quasi sussurrata, immagina un mondo possibile dove l’uomo sa amare con rispetto e tenerezza. Un’artista che non interpreta, ma svela. Non impone ma si fa canale. È una voce che non racconta solo se stessa, ma diventa risonanza dello stato d’animo di chi ascolta. Ti ci ritrovi dentro, come in uno specchio. Non canta per mostrarsi, ma per accoglierti. Il modo in cui intona questa sua canzone degli anni 90 non è né accusatorio né difensivo, ma profondamente immaginativo: empatia che accoglie in sé l’altro da sé – l’uomo – come un sé possibile. Un Femminile che immagina il Maschile da dentro, e lo redime.
Lu Colombo, con ritmo e passione, alza qui una voce militante per dire basta, e lo fa senza rabbia, ma con tutta la forza della consapevolezza. E’ un tamburo, un pugno dolce ma fermissimo dal timbro corposo, deciso e ritmico, carico di indignazione: il tempo del silenzio è finito. Ma sa dire "basta" senza rancore, con fermezza: ha visto troppo, e non accetta più la menzogna, l’omertà, la colpa nascosta sotto il tappeto.
Susanna Parigi che ci ha lasciato troppo presto, è come un’acqua che scava, e ci porta dentro le sfumature del sentire. Il tema della fragilità e della trasformazione si insinua come un fiume sotto la superficie. Non c’è condanna né perdono ma la descrizione di un’umanità che ha bisogno di scivolare oltre le definizioni di maschio e femmina, di carnefice e vittima. Si chiede cosa significhi essere davvero umani, liquidi, imperfetti. Forse cerca di non accusare, ma di comprendere le radici profonde del dolore e accogliere l’energia della vita che passa da una donna all’altra, in verticale e in orizzontale.
Tre voci diverse, tre strade che si intrecciano nel desiderio di un amore che non ferisca, ma riveli. Tre donne che continuo ad ascoltare con amore.
In questi giorni mi domando che cosa farebbe un uomo, un uomo che non ha paura dell’intimità, che non si vergogna della dolcezza, che non sente minacciata la propria identità se accoglie l’altro da sé.
Se io fossi un uomo
E allora scrivo. Scrivo come se fossi un uomo. E prendo a prestito il titolo della canzone che Grazia ha portato a SanRemo nel 1991, e la ringrazio . E forse, proprio per questo, come donna, posso dire cose che spesso gli uomini dimenticano. Oppure non osano più dire.
Se io fossi un uomo rispetterei la donna che amo e ogni altra donna, vedrei la sua luce e la sua bellezza e saprei accarezzarle l’anima e i pensieri e le emozioni e la sua pelle.
Se io fossi un uomo alzerei le mani su di lei soltanto per abbracciarla e stringerla a me,
alzerei la voce soltanto per ricordarle la sua regalità, calpesterei solo la sua ombra
per rimanerle sempre accanto.
Se io fossi un uomo m’inerpicherei sulla profondità della sua mente,
veleggerei nella grandezza del suo cuore, riconoscerei tutto quello che in potenza sta germogliando in lei e insieme porteremmo acqua a ogni suo seme.
Se io fossi un uomo le chiederei aiuto, le offrirei protezione, camminerei con lei accanto condividendo pesi e risate e nodi da sciogliere e sorprese da aprire.
Se io fossi un uomo mi sentirei uno stupido e un bambino cresciuto male e un ignorante sentendo parlare della Giornata Mondiale contro la Violenza sulle Donne e me ne vergognerei tantissimo perché non si può credere che la donna sia qualcosa d’altro.
Se io fossi un uomo amerei le donne come le amo io che sono una donna e che non vedo differenze, perché per una donna differenze e diversità sono eventuali accessori e mai sostanza, sono eventuale completamento e mai opposizione, sono ponti e mai muri.
Se io fossi un uomo sarei con le donne come lo sono io che sono una donna. E forse il mondo crescerebbe un po’...
Ma sono una donna e non so.
E intanto… fuori da queste parole, il mondo continua.
Secondo i dati del Viminale, in Italia nel 2024 una donna è stata uccisa ogni tre giorni da un uomo. Nella maggior parte dei casi da un uomo che diceva di amarla.
Si chiama femminicidio, ma prima ancora è cultura.
Una cultura che giustifica, minimizza, insegna fin da piccoli che l’uomo possiede e la donna deve compiacere. Che se lui è geloso è perché ci tiene. Che se è violento è perché ha perso il controllo.
Una cultura che ha paura della forza della donna, e che la confonde con arroganza. Che la vuole madre, ma non autonoma. Che la vuole bella, ma non libera.
Che la vuole desiderabile, ma mai desiderante.
E poi, come un’eco distante, arriva anche la voce della Chiesa.
Una voce che ancora sussurra più che parlare, che benedice sottovoce ma non osa accompagnare all’altare. Una voce che distingue, divide, teme il disordine, le crepe, le differenze. Una voce che accarezza ma non accoglie del tutto, che tollera ma non celebra. Che separa l’amore dalla forma, la sostanza dalla sua dignità sacramentale.
Una voce dice : siete figli di Dio, ma non come gli altri.
E tu cosa benedici?
E allora, se io fossi un uomo…alzerei la voce non per comandare, ma per proteggere.
Terrei aperta la porta a tutti, a chi ama con coraggio, a chi costruisce famiglia con gesti e presenze, a chi non prende in considerazione nemmeno la parola “diversità” non perché non la accetti ma perché non esiste. Diverso da cosa? Ognuno e ogni scelta é semplicemente parte del tutto.
Se io fossi un uomo, non mi servirebbe un altare per benedire l’amore: mi basterebbe il cuore.
Ma sono una donna. E non so. O forse so troppo.
E avverto il silenzio delle istituzioni. Lo avverto come una promessa non mantenuta, come una carezza rifiutata, come una porta che resta socchiusa.
Ma la luce può filtrare anche da lì. E io la vedo forse perché, chi mi conosce lo sa, ho sempre lo sguardo orientato verso la luce. E forse, proprio da lì, cominceremo a cambiare il mondo. Chissà.
Oggi chiediti che cosa benedici davvero, senza rendertene conto.
Benedici i sorrisi degli sconosciuti, la gentilezza imprevista, l’amore che vedi negli occhi degli altri? E tu, come vorresti essere benedetto, come vorresti essere benedetta?
Scrivi una lettera (anche senza spedirla) a una parte di te che non ha ancora ricevuto benedizione. Può essere il tuo corpo, la tua infanzia, il tuo modo di amare.
Parlale con tenerezza. Parlale come faresti se tu fossi un uomo. O come faresti se tu fossi dio. Perché forse, in quell’istante, lo sei davvero.