N.1- Cambia il tuo punto di vista
Perché sono passata da una modalità di sopravvivenza a un approccio creativo alla vita
Mi sono trasferita da Milano in un bosco ligure da una decina di anni, ho svuotato e venduto la mia casa perché la vita di città mi stava un po’ stretta. Quel passo mi avrebbe stravolto l’esistenza ma io ne ero entusiasta anche perché, nonostante ci avvicinassimo entrambi alla sessantina, ha iniziato a farsi strada un progetto da condividere con Bruno, mio marito. Una grande casa tra gli ulivi dove improvvisarci locandieri con tanta voglia di una Vita Nuova, insieme.
All’inizio ho vissuto in una bolla di stupore e meraviglia e ancora oggi, ogni giorno, scopro con gioia qualcosa di inedito. Ma non tutti i giorni sono uguali, non è sempre facile affrontare la vita in questa situazione così diversa, ancora così nuova per me. Vivere immersa nella natura, lontana da Milano dove ho trascorso gran parte della mia vita, è un’avventura fatta di alti e bassi.
La gente mi dice “Beata te che sei in un posto così bello”, “Beata te che stai lontana dal caos”, “Beata te che hai staccato con la vita cittadina”.
Beata una cippa, si diceva una volta!
Una scelta come questa non è frutto di beatitudine innata e nemmeno di fortuna o di un DNA particolare, c’è dietro un lavoro su di sé, intorno a sé e tra le connessioni del proprio cervello.
Una scelta così non la si trova prefabbricata né la si compra al mercato, è frutto di una serie di atti di consapevolezza. Come ogni scelta che non si limiti a discriminare tra il gelato al cioccolato e quello alla fragola.
E ogni scelta, anche la più consapevole, ha i suoi momenti difficili.
Probabilmente io nell’anima sono una cittadina e qui, in questo paradiso che affascina chi mi viene a trovare e gli ospiti del mio B&B Joe de Vivre, talvolta precipito in momenti di vuoto che non sempre so come riempire.
Non posso decidere all'ultimo momento di correre a casa di un’amica-sorella per ridere o piangere insieme, né di andare a teatro o di partecipare a un convegno.
Non posso impegnarmi a tenere una conferenza o a seguire quella di una mia collega o anche, semplicemente, entrare in un negozio per cambiare un po' il ritmo della giornata, né fare un giro sotto casa o trovare un amico e nemmeno inciampare in chi vive nella mia stessa via; al massimo posso incontrare qualche cinghiale o, se mi va bene, una coppia di caprioli.
Ma perché lo sto raccontando? In fondo potrebbero essere solamente fatti miei, sensazioni e riflessioni di una “ex-quasi-tutto” che a un certo punto della sua esistenza ha deciso di cambiare vita, potrebbero sembrare pensieri senza troppa importanza, parole sparse di poco conto.
Eppure, visto che non mi va di lasciare che questa catena di mugugni si stemperi e sparisca, ho dato vita a questa MindLetter perché io senza un nuovo progetto non ci so stare e per mostrarti come sia possibile smettere di vivere secondo una modalità di sopravvivenza, affrontando l’esistenza in modo creativo e imparando a usare bene la mente.
Nei momenti di vuoto ho sempre due macropossibilità: posso rimanere impantanata nella melma oppure scuotermi via dubbi e malumore e trovare il modo migliore per affrontare il mio disagio, trasformarlo e crescere. E, se riesco a farlo, di colpo lo scenario cambia, assume nuova consistenza, diversi colori, si riempie di senso.
E come si fa a passare dalla modalità di sopravvivenza a quella creativa? E cosa vuole dire usare bene la mente?
Per cercare di rispondere almeno in parte a queste domande ho deciso di condividere con te una parte di me. Quale? Lo scopriremo di settimana in settimana, se vorrai seguirmi.
SINDROME DELLO SPECCHIETTO RETROVISORE
A me piace cambiare, è questo il mio modo di stare al mondo. Anche se non sono immune neppure io dalla Sindrome dello specchietto retrovisore:
Scrive Hal Elrod in “The Miracle Morning” che vi consiglio di leggere applicando i suoi suggerimenti:
“Il nostro subconscio è dotato di uno specchietto retrovisore, crediamo che chi eravamo sia anche chi siamo, filtriamo ogni scelta che facciamo attraverso le limitazioni delle esperienze passate. Non riusciamo ad adottare un punto di vista differente”
Sono curiosa e affamata di conoscenza, non di erudizione ma di comprensione. Mi piace capire nel senso latino di capio, faccio mio, porto dentro di me, è una vita che lo faccio e aiuto gli altri a farlo.
E' difficile che io mi annoi, molto difficile, ma qualche volta mi capita e in quei momenti mi accorgo di avere attivato la modalità di sopravvivenza, come se avessi messo una marcia bassa, una prima o una seconda, mentre la mia energia si appesantisce e la vita rallenta in preda al mio umore che, di colpo, diventa sovrano e io vengo inondata da una marea di emozioni e di sensazioni che prendono il comando. Spesso sono soltanto delle tracce di esperienze passate che arrivano da lontano: per alcuni istanti o per qualche ora abbandono la realtà presente e mi catapulto nel passato per recuperare qualche frammento di ricordo, qualche goccia di nostalgia, un po’ di confronti. Vado altrove non come scelta ma come fuga. Il mio stato d’animo, in quei momenti, si colora di vittimismo. E questo mi mette disagio.
IL BAMBINO SPORCO
Ma la bellezza di avere alle spalle tanti decenni di vita è sapere che c'è sempre una soluzione a tutto e che ogni sensazione di disagio, anche molto intensa, può diventare il seme di una nuova fioritura. Riuscire a cambiare in tempi brevi il mio modo di pensare e di sentire mi accompagna a uscire da quella melma nella quale mi sono impantanata: certo, ci ritornerò, lo so, ma ogni volta, uscendone, scoprirò qualcosa di nuovo che mi sta aspettando.
Scrive Alexandro Joodorowsky:
“Per essere creativi dentro di noi deve esistere il bambino sporco”
Fin da bambina ho fatto della creatività il motore di ogni mia ricerca: vivere in modo creativo è lasciarsi alle spalle lo Spazio e il Tempo e varcare la soglia di ogni limitazione che ci siamo autoimposti, è diventare pura consapevolezza e mutare il modo di sentire . Nella modalità creativa libero quella energia emotiva che fino a quel momento avevo imprigionato nel corpo e la porto nel cuore, facendola innamorare di quanto sto creando: un libro, un quadro, un’idea, un progetto, la rivisitazione costruttiva di un mio stato d’animo. In quei momenti mi pare di elevarmi al di sopra dei miei limiti e lascio andare i rimasugli di quel vecchio Sé nel quale ero rimasta intrappolata.
UNA QUESTIONE DI PROSPETTIVE
Succede sempre così: quando mi smarrisco credendo di avere perso il senso e questo bosco mi pare una selva oscura, trovo il modo di cambiare il punto di vista e tutto riacquista il suo senso. Anzi, un nuovo senso. Come in quella illusione ottica nella quale si può vedere una anziana “vecchia megera” oppure una giovane donna con lo sguardo perso nell'infinito.
Quando finalmente vedo anche la seconda immagine, che sia la vecchia o la giovane donna, da quel momento guardando lo stesso disegno sono in grado di riconoscerle entrambe, anche se l'immagine globale sulla mia retina non è cambiata.
Scrive Gregg Braden in “La guarigione spontanea delle credenze”, altro libro molto stimolante:
“Per riscrivere il nostro codice di realtà dobbiamo dare a noi stessi un motivo per cambiare ciò che credevamo in passato. Si tratta di fare qualcosa di più che limitarsi a decidere mentalmente di cambiare o avere la volontà di farlo. Dobbiamo avere una ragione per scaraventare noi stessi fuori dal compiacimento di un dato modo di pensare, verso un nuovo rivoluzionario modo di concepire le cose. Abbiamo bisogno di una prospettiva diversa”
Ecco, una prospettiva diversa, appunto. Variando il mio punto di vista posso riconoscere sempre quella nuova forma che di colpo sono riuscita a vedere. Senza cambiare la prospettiva, senza assumere anche un nuovo punto di vista, la mia osservazione rimarrebbe legata solo a una delle due, o alla vecchia megera o alla giovane donna.
E' questo che mi salva ogni volta, la possibilità di osservare anche qualcosa d'altro quando la realtà che mi sono abituata a considerare non corrisponde alle mie attese; certo, non mi ritrovo di colpo a CityLife (un quartiere di Milano in cui ho ancora un appartamentino), né la attiro qui in mezzo al bosco, ma mi accorgo che la mia vita non è più automatica, come vedevo succedere un tempo in città, non corre su un binario sempre uguale a se stesso e stabilito dalla abitudine; qui la mia vita trasuda ancora volontà di cambiamento e desiderio inarrestabile di dare senso alla mia esistenza, nonostante la mia età continui a procedere imperterrita.
Forse è questo che il bosco mi sta regalando, la certezza che io posso cambiare il modello mentale, posso aprirmi a nuovi punti di vista e posso uscire dalla ambiguità di certi stati d'animo che nascono da questa solitudine, perché ogni istante è l'inizio di una caduta o di una rinascita. Sta solo a me decidere cosa farne. E ogni ambiguità è una risorsa da cui possono nascere nuove idee, grazie a un approccio creativo alla vita.
QUANTE SUSANNE? (O QUANTE SUSANNA?)
Talvolta penso che dovrei essere tante per starmi dietro fino in fondo e invece sono una sola che cerca di coordinare e rendere sinergiche le tante che la tirano di qua e di là, ognuna proponendo sempre qualcosa di bello ma anche adattandosi ai doveri di routine, ciascuna dal suo punto di vista. Così non mi annoio (quasi) mai.
Gurdjieff (se non lo hai ancora letto e ne hai voglia, parti dal libro di Peter D. Ouspensky, “L’evoluzione interiore dell’uomo”. E’ un suo discepolo che ne riassume magistralmente il pensiero e ti darà sicuramente qualche spunto per la tua vita. Se vuoi qualcosa di più coinvolgente, sempre di questo discepolo di Gurdjieff, tuffati in “Frammenti di un insegnamento sconosciuto”) diceva che in realtà siamo tanti, non uno ma una moltitudine che cambia continuamente e che l’illusione di essere uno solo è data da tre fattori: il nome, il corpo fisico e le abitudini meccaniche.
“In realtà non esiste unità nell’uomo, non vi è un centro unico di comando, né un Io o un ego permanente, ma ci sono tanti piccoli io non collegati tra loro né coordinati.
Ognuno di essi dipende dal mutare delle circostanze esteriori e dal variare delle impressioni”
Ciascun Io crede di rappresentare il tutto ma è soltanto passeggero, presto viene dimenticato e superato dall’opposto, ma noi non ce ne ricordiamo e ogni volta diamo credito all’ultimo Io che si è fatto vivo.
Mentre scrivo sorrido, pensando quanto pretendessi quando insegnavo al triennio del Liceo Classico. Loro non se ne accorgevano e magari pensavano che io fossi “buona” perché lasciavo consultare i testi durante i compiti in classe, ma in realtà non si rendevano conto che quello che richiedevo non era molto semplice. In una interrogazione, a proposito di quello di cui sto parlando, non avrei domandato
Parlami di “Uno, nessuno e centomila”di Pirandello
ma avrei domandato:
Fammi un confronto tra il pensiero di Pirandello, quello di Gurdjeff , le canzoni di Battiato e Pippo, quello di Topolino.
In ogni caso anche Pirandello parlava di “Uno, nessuno e centomila” con particolare attenzione a come gli altri ci vedono, con meno preoccupazione di fornire un programma di consapevolezza e di crescita, anche se sostiene in questo romanzo che l’uomo ha il compito di costruirsi, come si costruisce una casa. Anche per lui, comunque
“..mi conoscevano gli altri, ciascuno a suo modo, secondo la realtà che m’avevano data; cioè vedevano in me ciascuno un Moscarda che non ero io non essendo io propriamente nessuno per me: tanti Moscarda quanti essi erano”
Beh, Gurdjieff una soluzione la dà, eccome. Una questione di risveglio e di regia. Nel caso ti interessasse sapere quale e come, leggi “La quarta via” e poi ne parliamo.
LA CABINA DI REGIA
Certo che la cabina di regia mi ha sempre affascinata. Stare in regia implica avere chiare le caratteristiche di ogni persona e di ogni personaggio, plasmarlo, farlo crescere e coordinarlo con tutti gli altri, fino a farlo diventare parte di un unico corpo armonico.
Ma come mi sono comportata con me stessa nel corso di tutta la mia vita?
Sono riuscita ad accogliere e a plasmare ogni piccolo io che mi vive dentro e a coordinarlo con tutti gli altri, ho cercato davvero di unificarli, di farli procedere all'unisono?
E sono rimasta fedele alla mia convinzione che quando si invecchia la vita diventa ancora più stupefacente e la bellezza di ogni cosa appare nel suo splendore?
Chissà se ci sono riuscita, certamente ci ho provato e La MindLetter è uno strumento che condivido con gioia con chi volesse conoscere anche questo tratto del mio percorso.
Ed eccomi allora con una mio primo messaggio importante:
Se continui a pensare nello stesso modo non puoi che dare vita alla stessa realtà e affrontarla meccanicamente, riproducendo le stesse esperienze che stimoleranno gli stessi pensieri sul mondo esterno ma anche su di te.
Nella Mindletter parlerò (anche) di questo. Se tu vorrai unirti a noi avremo molto da dire e molto da scoprire.
Provoc-Azioni della settimana:
Alzati un quarto d’ora prima ogni mattina.
Prendi un quaderno nuovo e usa quel quarto d’ora per iniziare a scrivere su quel quaderno qualunque cosa tu abbia voglia di scrivere. Su come usare la scrittura ne parleremo poi.
Cambia il tuo posto a tavola, se ne hai uno fisso. Altrimenti, se cambi in continuazione posto a tavola, per tutta la settimana tieni sempre lo stesso.
Addormentati ogni sera dalla parte opposta del letto (a destra se il tuo posto è a sinistra e viceversa; se dormi solo/a prova a mettere la testa al posto dei piedi e viceversa).
Ogni volta che stai per compiere un’azione chiediti: “E’ proprio questo che ho intenzione di fare?” e ascolta la risposta (poi, se proprio devi fare, falla - per ora).
Sai perché
Si dice “Quanta luce ha quella persona” o perché c’è chi augura “Tanta luce”?
Al di là della immagine suggestiva che spesso è vista come foratura e modo di dire trito e ritrito, c’è una spiegazione scientifica.
Le nostre cellule contengono ed emettono luce, una radiazione ultradebole chiamata Biofotone. Così debole che puoi paragonarla alla visione della fiamma di una candela a 20 chilometri di distanza! E questa luce ha origine nel nostro DNA. Quindi la nostra vita deriva dalla luce grazie a informazioni precise che non lasciano spazio alla casualità.
Da cosa puoi lasciarti ispirare questa settimana:
Approda nel tuo centro permanente da cui osservare tranquillamente quella corrente di fenomeni che ti attraversano. Distante da tutto puoi osservarti. Non identificarti con il flusso mutevole, non ti importa aderire a quello che gli altri pensano di te, non identificarti con qualcosa di esterno, con una debolezza o un tuo desiderio, né con il tuo modello preferito per relazionarti agli altri. Sei, stai, riposi in te. Per questo puoi osservarti e diventare spettatore di te.
(Da Susanna Garavaglia “365 Pensieri per l’Anima”)