Un gruppo che si forma è un miracolo che nasce dal primo momento in cui l’idea di quel gruppo viene alla luce. Nel mio caso, dal primo momento in cui io decido di formarlo, quando dò vita a un seminario e invito le persone a parteciparvi. Un po’ come quando entri nell’idea di fare un figlio e necessariamente, se vuoi un figlio biologico, gli dai vita dentro di te facendo l’amore oppure facendo sesso. Anche un seminario lo si può creare come se si facesse l’amore o come se si facesse sesso, dando vita a un progetto col cuore o a un seminario tecnicamente perfetto oppure scadente. Come succede col sesso.
Quando la centralità viene data al gruppo e lo si immagina, prima ancora di creare o di strutturare il seminario, allora si sta facendo l’amore; quando invece la centralità viene data all’argomento, allora si sta facendo sesso con quel tema, con quelle parole, con quegli esercizi. E’ vero che il sesso può essere sublime, anche senza l’amore, ma non è di questo che voglio parlare.
Parliamo di quando ci metto l’amore e l’idea del gruppo a cui mi voglio rivolgere con un seminario viene davanti a me prima di tutto, dando vita al miracolo.
Quello che è terminato ieri a Joie de Vivre è stato un piccolo miracolo, uno di quelli che spesso mi capita di vedermi nascere tra le mani quando mi concedo almeno il tempo di un intero fine settimana e non devo tenere un gruppo al volo per due o tre ore. Parlo del seminario “Alle radici dell’Amore: Madre e Padre dentro di te”
Sarà la bellezza di questa grande casa, sarà la natura che qui non è sfondo ma ha una sua vita, sarà la cucina di Anna, sarà il Portale costruito da Roman, saranno gli anni che mi si sono accastonati addosso l’uno sull’altro svelandomi strati di luce anziché appesantendomi, ma anche questa volta il piccolo miracolo si è compiuto: le dodici partecipanti- non era voluto ma eravamo solo donne, tredici con me- sono andate via luccicanti per il nostro lavoro insieme.
Luccicavano di autoinnamoramento, si erano riscoperte, ancora una volta, chissà quante volte già lo avevano fatto di riscoprirsi e chissà quante ancora lo faranno ma ieri la miccia che collegava i loro occhi al loco cuore era accesa, lo vedevo.
E se ne sono andate via con la loro casetta delle meraviglie che conteneva tanti piccoli doni per la loro Bambina Interiore.
Abbiamo costellato ma facendo l’amore, non il sesso, arrivandoci piano piano a lavorare con il Padre e la Madre, a rispolverare quel Patto Infantile che ci ha fatto barattare la libertà di essere noi stesse per votarci alla salvezza dei nostri genitori, a trasformare lo sciroppo che ci ha fatto crescere- il senso di colpa- in consapevolezza, a inchinarci al Sacro Destino di mamma e papà che li ha fatti essere con noi i genitori giusti per noi, a ringraziarli perché comunque hanno fatto quello che hanno potuto al meglio che era loro possibile fare. A fare ancora un pezzetto di strada per diventare consapevoli che se un movimento verso i nostri genitori, un giorno, è stato interrotto, ora è possibile completarlo, portarlo a termine.
Ma io tutto questo ancora non lo sapevo mentre preparavo il mio seminario, non sapevo se si sarebbe compiuto o no il miracolo, sapevo che i temi sarebbero stati questi ma che avrei dovuto aspettare che fosse il Campo a parlare, quel luogo fisico dentro al Portale nel quale la memoria individuale di ognuna di loro si sarebbe fusa con quella sistemica, delle generazioni precedenti e ci avrebbe donato quelle domande e quelle risposte che spesso nella vita ci vengono a cercare ma che magari non sappiamo nemmeno riconoscere.
E quindi, mentre preparavo il seminario coccolavo i miei futuri studenti, ancora in parte senza nome né volto, preparando il materiale che, una volta nelle loro mani, si sarebbe trasformato in ricordo, collegamento, provocazione. Messaggi su carta vintage, liste di frasi di guarigione, scatole magiche con piccoli oggetti dell’infanzia. Mettendoci amore, lo confesso, perché è questo che ho scoperto dopo tante formazioni e parecchia esperienza: senza amore un seminario può diventare business ma fatica a raggiungere il cuore. E quando si attacca alla mente e diventa erudizione, in breve tempo muore.
Abbiamo riso, abbiamo riso molto anche perché quando metti insieme quattro o cinque donne che sono nate tra gli anni cinquanta e gli anni sessanta, esplode quel mix di profondità, serietà, dissacrazione e sana indisciplina tipica della nostra natura di ossimori viventi che ci ha fatto crescere tra i due mondi di quegli anni, cogliendo da entrambi il succo migliore. E quel mix è contagioso. Abbiamo riso di amore che ci scoppiava dentro e che, durante la cena finale tra una partenza e l’altra, si è fatto goliardico, portando brandelli di vita vissuta espressi nei dialetti delle terre dalle quali ognuna proveniva: da Napoli, da Verona, da Bologna, da Milano, da Torino, da Savona. Ogni città rappresentata aveva il suo modo di dissacrare e onorare la vita.
Ma questa è un’altra storia, anche se ho deciso di dare un titolo assurdo a questa newsletter, “Come si traduce?” forse perché insieme, abbiamo cercato prima di tutto di tradurre i nostri grovigli interiori in occasioni di luce. Nel Portale. E poi, allora, abbiamo potuto dedicarci a traduzioni più prosaiche. E goliardiche. Perché prendersi sempre e solo sul serio fa male.
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