Il Non Giudizio: Una Via di Liberazione e Comprensione Profonda
Avevo 12 anni quando Caterina Caselli cantava “Nessuno mi può giudicare”, facevo le medie dalle suore Orsoline e mi sentivo perennemente giudicata, sia a scuola che a casa. “Questo si fa, questo non si fa”, “Se fai così sei una brava bambina, se non lo fai Gesù ti vede”, “Vergognati!”, “Sei troppo grassa, troppo magra”, “Possibile che tu non capisca?”, “Guarda lei, lui, loro..invece tu..” , “Fallo per me, per lui, per lei”erano i mantra che ci venivano ripetuti come latte materno per farci crescere “bene”. E andando avanti negli anni la solfa non é cambiata.
Mentre scrivo sorrido, pensando che é stata proprio quella Caterina che a diciassette anni urlava “Ognuno ha il diritto di vivere come può -La verità ti fa male, lo so
Per questo una cosa mi piace e quell'altra no-La verità ti fa male, lo so” che, una quarantina e più di anni dopo, mi ha giudicata. Io scrivevo le parole di canzoni che poi Laura Gessner metteva in musica e cantava, avevamo fatto avere, alla ex ragazzina urlatrice diventata oramai matura importante produttrice musicale, il nostro primo cd (“Ma tu pensati bella”, da uno dei pezzi) e lei ci ha dato un appuntamento nella sua casa discografica Sugar (che, combinazione, è il mio pseudonimo quando dipingo) in Galleria a Milano. Eravamo tutte contente anche perché un “no, grazie, non ci interessa” non è mai di persona ma sempre tramite un messaggio o una telefonata. Invece no, Caterina Caselli ci ha invitate di persona per dirci che le nostre canzoni non erano adatte alla sua produzione. Un giudizio netto, comunicato con professionalità ma sempre un giudizio che, però, in quel caso era forse azzeccato, avevamo puntato troppo in alto. Chi lo sa? (Aggiungo, per onor di cronaca, che allora ci siamo prodotte da sole. E che io poi mi sono dedicata ad altri tipi di pubblicazioni e Laura ha continuato a cantare le nostre e le sue canzoni, anche senza la Caselli).
Ma in quel caso il suo giudizio era di tipo professionale e quindi, dopo qualche istante di delusione, credo non ci abbia ferito un granché. Ma quante ferite, invece, hanno lasciato in tutti noi, e forse anche in te che mi leggi, giudizi sulla nostra persona, sulle nostre emozioni, sui nostri pensieri, sulla nostra personalità!
Viviamo in un mondo in cui il giudizio sembra essere la moneta di scambio quotidiana, giudichiamo gli altri, giudichiamo noi stessi, giudichiamo le situazioni e persino gli eventi della nostra vita. Ma cosa accadrebbe se ci concedessimo la possibilità di osservare senza etichettare, di ascoltare senza filtrare attraverso le lenti del pregiudizio?
Il Giudizio come Prigione della Mente
Giudicare significa separare, distinguere, etichettare. È un meccanismo che la nostra mente utilizza per dare ordine al mondo, ma che spesso si trasforma in una prigione. Il giudizio nasce dalla paura, dal bisogno di controllo, dalla nostra insicurezza. Quando giudichiamo, cerchiamo di collocare le cose in una dicotomia rassicurante di "giusto" e "sbagliato", "buono" e "cattivo", “bello e brutto”, “intelligente o stupido”, illudendoci di avere il controllo sulla realtà.
Ma la vita è infinitamente più complessa. Ognuno di noi porta con sé una storia, ferite invisibili, esperienze che non possiamo conoscere fino in fondo. Quando giudichiamo ci precludiamo la possibilità di comprendere davvero, di entrare in risonanza con l'altro, di cogliere la profondità della sua esistenza. In una relazione in crescita, in evoluzione, non ha senso chiedersi chi abbia “ragione” o chi ha “torto”, ma quello che conta é venire incontro ai bisogni di tutte le persone coinvolte. E’ tempo di lasciare andare giudizio, dualità, timore, di aprire il cuore abbandonando paure, sistemi di credenze rigidi, emozioni gestite dalle più basse energie. Anche perché amore e paura non possono esistere sulla stessa banda di frequenza. Ma quanti giudizi nascono dalle fragilità di chi sta giudicando..ci sto riflettendo in questi anni e mi rendo conto di come io per prima stia cadendo nella trappola del giudizio. Di fronte a mia madre novantacinquenne che vive con me, infatti, io fatico a considerare le sue fragilità attuali come naturali in una donna di quell’età e le guardo esattamente come se io avessi nove o quindici anni e lei trenta o quaranta. E quindi le giudico, portando alla luce la rabbia che provavo allor,a quando mi sentivo ferita da alcuni aspetti del suo carattere nei quali è restata impigliata e che, ovviamente, il tempo ha solo amplificato, non certo dissolto. Parlo di Non Giudizio ma so quanto sia difficile lasciarlo andare.
Il Non Giudizio come Via di Trasformazione
Non é sempre facile, infatti, capire davvero cosa voglia dire Non Giudizio, certamente non significa accettare tutto passivamente, né smettere di discernere.
Io, come la Caselli con me e con Laura Gessner, mi sono trovata molto spesso nella mia vita professionale a dover giudicare e valutare il lavoro degli altri, l’apprendimento dei miei studenti, le loro opere creative, perfino il valore di un lavoro teatrale o della capacità attoriale di famosissimi professionisti che avevano fatto del recitare la loro vita. L’ambito professionale, però, si muove secondo parametri di altro tipo, ogni atto di discriminazione non è-o non dovrebbe essere- dettato dal desiderio di valutare la persona, ma fa parte del ruolo. Il mio compito era -ed è perché ancora oggi in modo diverso insegno-quello di aprirmi all’esperienza comune, sospendendo la reazione immediata della mente che giudica chi ha davanti. Lasciando spazio alla comprensione e all’osservazione pura, non per giudicare ma per valutare cosa possa essere trasformato e quindi migliorato.
Eppure, nel corso della mia vita, mi sono sentita molto spesso giudicata: dalla mia famiglia d’origine, da mio marito, dai miei figli, da alcune amiche, dai miei colleghi o superiori che in alcune situazioni si sono dimostrati miei ferrei censori, facendo leva probabilmente sul bisogno che avevo di lavorare sulla mia insicurezza, sulla capacità di dire di no, sui miei confini. Come ancora mi succede oggi sono certa di essere stata anche io giudicante e non solo per motivi professionale: ci sono aspetti di censura che ciascuno di noi, anche chi è apparentemente elastico ed accogliente, esercita quasi inconsapevolmente. Non é sempre necessario verbalizzare questa nostra censura e nemmeno imporla per trasformarci in inesorabili giudici, talvolta ci basta credere intimamente di essere nel giusto per passare un messaggio svalutante e spesso distruttivo. Ci sono momenti in cui siamo molto attenti al comportamento degli altri e alla loro capacità di aderire o meno a quello che noi riteniamo vero. Talvolta persino il nostro modo di amare è condizionato dalle aspettative e dal nostro modo di vedere la vita: stiamo quindi giudicando.
Verso una Vita più Libera
Le tradizioni spirituali di ogni tempo ci insegnano che il vero cammino interiore inizia quando smettiamo di guardare il mondo attraverso le lenti dell’ego e ci apriamo alla realtà così com’è. Il Buddha parlava di equanimità, insegnando a osservare senza attaccamento e senza avversione. Gesù esortava a non giudicare per non essere giudicati. I mistici di ogni tempo ci invitano a immergerci nella realtà con occhi nuovi, liberi dalle sovrastrutture della mente condizionata.
Il Non Giudizio è una pratica di profonda libertà. Ci libera dai condizionamenti, ci permette di vivere con più leggerezza, ci apre alla bellezza dell’essere umano in tutta la sua complessità. È un atto di amore, una scelta di fiducia nella Vita stessa.
Se provassimo, anche solo per un giorno, a guardare il mondo senza giudicarlo forse scopriremmo che dietro ogni paura si cela un desiderio d’amore, e che ogni istante può essere vissuto con occhi nuovi, limpidi, pieni di meraviglia.
E ci renderemmo conto di come attraverso l’altro possiamo comprendere alcune cose su di noi che ancora ignoriamo, aspetti di quello che siamo. Se non ci limitiamo a giudicare ma rimaniamo nel rispetto dell’ascolto dell’altro.
Invece noi, spesso, non ascoltiamo e non prestiamo attenzione a quello che l’altro dice perché lanciamo senza briglie la nostra personalità forte e invadente, senza dare spazio all’ascolto dell’altro, sentire quello che ha da dirci, cogliere quello che c’è di più bello in lui e ricevere tutto l’amore che può darci.
In realtà non sappiamo nemmeno ascoltare noi stessi lasciando andare la nostra agitazione e facendo spazio a quel silenzio che ci permette fare il bilancio delle nostre esperienze, ci facciamo travolgere dal rumore del mondo e dalla nostra agitazione senza più riuscire a percepire la sensibilità dell’altro e una sua eventuale richiesta di aiuto. Anche lui, anche lei come noi forse vogliono essere riconosciuti, essere visti, non giudicati.
E se noi vogliamo giudicare a tutti costi, allora forse significa che siamo mossi dal nostro ego che a sua volta cerca potere. L’ego c’é e ha anche il suo valore ma dovrebbe agire per essere al servizio, per portare luce al nostro cammino, non per frenarci, compagno di viaggio, non capo indiscusso.
Il diritto di non essere giudicati
In fondo, il più silenzioso dei diritti conquistati – e forse il più rivoluzionario – è quello di non essere giudicati. Non c’è legge che lo sancisca in modo esplicito, eppure lo abbiamo visto emergere lentamente, come un seme che affiora dal terreno. Dagli anni Sessanta a oggi, quando la Caselli cantava “Nessuno mi può giudicare”, il senso del giudizio ha iniziato a sgretolarsi sotto il peso di nuove consapevolezze, mentre il Non Giudizio si faceva spazio: prima nella ribellione dei cuori liberi, poi nelle conquiste civili, infine nei percorsi interiori.
Anche se i social hanno diffuso un atteggiamento opposto, il conflitto di opinione quotidiano giudicante e senza controllo, ma questo è un altro discorso che avrebbe bisogno di ampie trattazioni, non della puntata di una newsletter.
Vediamo invece un diffondersi di nuove consapevolezze nel diritto di amare chi si ama, senza doverlo spiegare: il cammino LGBTQIA+ ci ha insegnato che l’identità non ha bisogno di approvazione.
Lo vediamo nel corpo delle donne che ha reclamato il diritto di scegliere – sul piano della maternità, del piacere, della libertà – senza più chinare il capo al volere e alla violenza altrui che, ancora c’è eccome, ma forse almeno viene riconosciuta e chiamata con il suo nome.
Lo vediamo nel rispetto per le differenze, quando la neurodiversità e le scelte di vita “non convenzionali” smettono di essere devianze da correggere.
Lo vediamo nel modo in cui accogliamo percorsi spirituali, filosofie orientali, pratiche di crescita personale che ci chiedono solo una cosa: ascoltare senza giudicare.
Lo vediamo nella tutela delle fragilità, nella disabilità riconosciuta come dignità piena, nella diversità culturale vissuta come ricchezza.
Il non giudizio non è indifferenza. È un atto d’amore. È la più alta forma di rispetto: per l’altro e per sé. È dire, ogni giorno: “Non so chi sei, ma ti riconosco. Non so cosa scegli, ma ti onoro.”
E forse è proprio da qui che può nascere una società più umana: dal coraggio di non avere sempre un’opinione, ma un cuore che sa stare nel silenzio. Nell’accoglienza. Nella libertà vera.
**Dal 9 all'11 maggio a Joie de Vivre
Seminario residenziale “Dal Bambino Ferito al Bambino Magico”
Un viaggio trasformativo tra Costellazioni Familiari, teatroterapia, meditazione e vita condivisa.
Ultimi posti disponibili. Se ti chiama, è il momento.
👉 Iscriviti qui
** 30 aprile dalle 20,30 Incontro on line di Scrittura dell’Anima
Se vuoi partecipare, anche a un solo incontro-questo-clicca qui:
Semplicemente arriva al cuore❤️